“La zona d’interesse” ovvero la banalità del “nor-Male”
La zona d’interesse è un film straordinario, direi indispensabile.
Una famiglia: marito, moglie, cinque figli più un cane, vive felice in un villino fiorito con piscina e orticello. L’idillio però svela una paradossale e terrificante realtà, la casetta dei sogni confina con il lager di Aushwitz.
Lo sterminio sistematico di esseri umani perpetrato dietro il muro di casa non turba minimamente la serenità della famigliola che trascorre giornate liete con amici e parenti mentre dalle vicine ciminiere esce incessantemente il fumo dolciastro di carne bruciata.
“Come è possibile sia accaduta una cosa del genere” ci si chiede con il petto gonfio d’orrore.
La risposta è semplice. All’epoca la maggior parte del popolo tedesco, polacco e di altre nazioni, considerava normale l’attuazione del genocidio ebraico e di altre comunità classificate come inferiori. La propaganda nazista, le promesse di predominio sul mondo, gli interessi, il pippotto del razzismo, avevano forgiato le menti umane, reso normale quelle atrocità. Gli ordini venivano dall’alto (dov’è poi questo alto?) ciò rendeva la strage banalmente, burocraticamente nor-Male. C’era pure il vantaggio di poter saccheggiare i beni dei prigionieri, dopo i disastri della prima guerra mondiale si era a corto di moneta.
Torniamo alla famiglia.
Rudolf Höss, il marito, è stato uno tra i più spietati esecutori nazisti. Comandante di Aushwitz, si recava ogni giorno diligentemente al lavoro, cioè a due passi da casa. Höss, capo all’avanguardia, aveva introdotto tecniche nuove come il gas della morte Zyklon B.
La moglie, Hensel Hedwig, adorava la sua villa, nessun patimento per lo sterminio della porta accanto. Voleva il suo giardino, lo voleva a tal punto da non seguire il marito quando fu trasferito.
Jonathan Glazer, il regista non ci mostra i lager, non ce n’è bisogno ormai sono stampati nel nostro immaginario. Sceglie invece di farci seguire la quotidianità appagata della famigliola.
Ed ecco la scena emblematica. Mamma Hensel che fa odorare al suo bimbo più piccolo, come una tenera educatrice, la fragranza di alcuni fiori del giardino, – Lo senti il profumo della rosa piccino?
Le ciminiere inceneriscono a pieno ritmo, l’aria pregna dell’odore del fumo dolciastro e nauseabondo arriva fino a due chilometri.
Ma lei serena fa: – Lo senti il profumo della rosa?
Nel documentario “Final Account” di Luke Holland alcuni testimoni nazisti ammettono come non ci fosse persona a non sapere cosa stesse accadendo. La serialità dello sterminio era sulla “bocca silente” di tutti.
“Come è possibile sia accaduta una cosa del genere” ci si chiede con il petto gonfio d’orrore.
Facciamo un doloroso parallelo?
La carne è sempre carne. A qualsiasi specie appartenga. Quando brucia emana lo stesso “odore dolciastro e nauseabondo”.
La sofferenza di chi viene imprigionato, seviziato e ucciso non cambia da razza a razza o specie.
Gli allevamenti intensivi sono gli attuali lager, facciamo consapevolmente agli animali, vittime senzienti, quello che è stato fatto a milioni di persone.
La banalità del nor-Male continua.
Forse fra un secolo, spero meno, ammesso il pianeta sia ancora vivo ci si chiederà con il petto gonfio d’orrore come è stato possibile permettere una cosa del genere.
Nel frattempo si festeggia, e mentre sul barbecue arrostisce un vitello o un maialino, qualcuno chiede: – Lo senti il profumo della rosa?
La zona d’interesse
“Più volte ho pensato che per quanto riguarda il suo comportamento verso gli animali, ogni uomo è un nazista“, afferma il premio Nobel Isaac Singer.
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