Interviste romane di Gianfranco Gramola.
Dopo “Esercizi di sesso” e “Orgasmi geneticamente modificati”, è uscito il tuo nuovo libro: “Reietti”. Raccontami la trama (di cosa parla).
Ecco una parte della quarta di copertina: Il lato comico della ferocia umana in un’antologia di racconti dissacranti popolati da una galleria di “reietti” suggestivi e divertenti. Nei diciassette racconti “politicamente scorretti” i perdenti assurgono al ruolo di protagonisti.
I personaggi delle storie sono straordinariamente diversi. In Bee c’è l’uomo pecora creato dagli umani come fucina di organi di ricambio; in Gratia Plenae un gruppo di suore ispirate al mito della Papessa Giovanna combatte il maschio “egosistema” della Chiesa, non disdegando Karaoke blasfemi; in Zombi, un uomo in stato vegetativo riesce a fregare lo Stato che gli nega l’eutanasia; in Molestie persino per entrare in Paradiso è necessario “darla” ai santi più potenti; in Milf una filologa decodifica il misterioso codice Voynich scoprendo un elisir rivoluzionario; in God Dog un gruppo di extracomunitari costretto a partecipare a un “boat realty” escogita una fuga fantasmagorica; in Oggi a me, domani a te finalmente gli animali da batteria avranno la meglio sugli umani. Solo per citarne alcuni.
Perché il titolo Reietti?
Perché i personaggi del libro, così fuori dagli schemi, sono considerati reietti dal mainstream, in realtà il titolo cela un inganno, un significante ambiguo, chi è il vero reietto? Colui che agisce liberamente seguendo la sua natura? O la società omologata formata da individui giudicanti e tutti uguali, allontanata dalla libertà di pensiero, emarginata dalla profondità delle emozioni e peggio dalla fantasia?
Un motivo per cui uno dovrebbe leggere il tuo libro?
Per scoprire il “reietto” dentro di sé, ma anche il mostro, nell’accezione positiva del termine. Etimologicamente Monstrum significa prodigio. Noi non lo sappiamo, ma possiamo essere prodigiosi.
Scrivere per te è uno sfogo, un’urgenza personale o una sorta di dovere?
La creatività è un piacere necessario. La scrittura è un idioma ibrido, c’è il linguaggio, la parola scritta e c’è il silenzio, la meditazione. È nel silenzio che avviene il meglio. Il silenzio evoca, racconta, mi racconta.
Hai mai pensato di scrivere un libro autobiografico?
Magari un giorno narrerò le rocambolesche avventure dei miei tredici e quattordici anni vissuti in strada assai pericolosamente. Eravamo un nugolo di ragazzini reietti, così catalogati dal pensiero comune, in realtà i nostri cuori viaggiavano in dimensioni libere, istintuali e fuori da ogni schema perbenista.
Nel tuo libro c’è un messaggio che vorresti far arrivare al lettore?
Contrastare la banalità del Nor-MALE, parafrasando Hannah Arendt.
Scrittori preferiti
Borges, Saramago, Carter, Chandler, Kafka, Pirandello, Palahniuk, la lista è lunga.
Una citazione dal tuo libro
“…avevano oltrepassato la catena della religione, niente più dogmi, comandamenti, chiese, moschee, santi, martiri o rivalità tra credi diversi puf, spariti, via l’inferno, il paradiso, il concetto del peccato. Erano liberi da tutte le perversioni inflitte dalle religioni.”
Parliamo di teatro. Com’è nata la passione per lo spettacolo? Chi te l’ha trasmessa?
Mia nonna Leda, attrice di teatro, in casa non faceva che rappresentare monologhi di sue vecchie commedie. Poi il grande Francesco Gisondi, anarchico e geniale maestro delle elementari, mi ha spinto sulle scene del teatro Quirino per un saggio scolastico. Ho fatto il botto. Da timida sono diventata una tigre, sciantosa a dieci anni, “seduttrice” e “comica sapiente”. I lunghi applausi a scena aperta sono stati fatali.
I tuoi genitori che futuro speravano per te? Che lavoro fanno?
Volevano la mia felicità. Non avevano preconcetti, né aspettative, ero libera di scegliere. Una libreria piena di gioielli della letteratura è stata più efficace di qualsiasi parola. La sensibilità artistica l’ho ereditata da Marisa, mia madre, donna originale e pittrice di talento. Dal babbo Guido, taxi driver di professione, “Nomen omen”, ho preso l’amore per il gioco in tutte le sue forme.
Hai lavorato con molti grandi artisti. Un tuo ricordo (aneddoto) di Vittorio Gassman.
Una sera in particolare. Recitavo con lui a Firenze nel Kean di Dumas, nel ruolo di Anna Damby. La scena: una giovane donna si presenta al cospetto dell’istrionico e geniale attore del teatro britannico, Edmund Kean. Bene, stiamo recitando davanti alla sala gremita quando Gassman inizia a improvvisare, invece della battuta scritta nel copione me ne porge un’altra. A questo punto avevo due possibilità, continuare come nulla fosse o improvvisare. Ho scelto la seconda. Il suo genio mi ha trascinata in un mix di realtà e finzione. Quando Gassman-Kean chiede a me-Anna Damby quale mestiere facesse mio padre, rispondo serafica, il tassista, ed eravamo in pieno ottocento. C’è stata una fragorosa risata del pubblico. Abbiamo continuato a giocare sulle parole e sui tempi comici. Grande lezione di teatro.
Un aneddoto che riguarda Giorgio Albertazzi?
Mi ricordo la sua propensione per i giochi esoterici. Un giorno mi fece il test delle porte, dovevo immaginare di varcare una dopo l’altra quattro porte colorate, rosa, azzurra, bianca e nera, descrivendo cosa ci fosse dietro. Consegnate le risposte mi fa il profilo psicologico sentenziando che da lì a poco la mia sessualità sarebbe esplosa in un canto gioioso e sfrenato per poi essere sublimata nell’arte. A farglielo pensare deve essere stato lo scimmione intellettuale da me immaginato dietro la porta nera.
Un tuo ricordo di Antonella Steni?
Una grande attrice e cantante, un po’ schiva. Però quando entrava in scena faceva più luce dei riflettori.
La popolarità crea vantaggi e svantaggi. Hai mai avuto qualche fan un po’ troppo invadente?
Ne ho avuto uno troppo timido. Un giorno trovo un pacchetto nella cassetta della posta. Lo apro un po’ titubante. Nella mia fantasia galoppante poteva essere un esplosivo o una miscela di uranio impoverito, ma sorpresa, la scatolina contiene un paio di grossi orecchini a cerchio d’oro. Sul bigliettino c’è scritto: “Sarai sempre nel mio cuore”. Niente firma. Non saprò mai di chi fosse quel cuore nel quale a mia insaputa soggiornavo allegramente.
Hai fatto cinema, teatro, la regista … in quale di queste professioni pensi di dare il meglio di te (ti senti più a tuo agio)?
In ogni cosa che faccio. Al momento le più grandi soddisfazioni le sto avendo con la scrittura.
Qual è stata la tua più grande soddisfazione artistica?
Scrivere il mio ultimo libro Reietti, un viaggio straordinario.
E delusione?
Lavoravo in teatro con Alberto Lionello, Divorziamo di Sardou. Una sera dopo una replica Alberto mi suggerisce carinamente di dire una delle mie battute verso gli spettatori, il regista Mario Ferrero me l’aveva impostata diversamente, vedrai la differenza, concluse. Detto fatto, per cinque sere ho ricevuto applausi a scena aperta su quella battuta, felicità alle stelle. Alla sesta sera Lionello mi aspetta fuori del teatro per dirmi di tornare alla prima impostazione. A nulla sono valse le suppliche e le proteste. Poi ho scoperto il busillis. La sua donna, attrice molto competitiva, nonostante avesse un ruolo principale nella commedia, mal sopportava i miei successi.
Il complimento più bello che hai ricevuto?
“Mattatrice insuperabile” commento di un giornalista del Tg 2. Ma ce n’è un altro migliore, un uomo innamorato mi ha detto: “Tu sei: La Rosa nel Cosmo”, anagrammando il mio nome e cognome.
Ti sei mai infatuata di un collega?
Erano loro che s’infatuavano di me.
Quando non lavori, curi qualche hobby? Fai collezioni?
Leggo molti libri, ma rientra nel mio lavoro. Colleziono piume di uccelli raccolte nei boschi, voglia di volare?
Quali sono le tue ambizioni?
Contribuire a migliorare il pianeta. Esseri umani vegetariani e animali liberi e felici.
Chi e cosa porteresti su un’isola deserta?
Un uomo interessante e perché no? Virile, pronto a declamarmi a memoria i classici della letteratura.
Qual è il tuo tallone d’Achille?
Achille. Un maschilista orribile, preferisco Ettore. A parte gli scherzi, sono impulsiva e perfezionista, un bell’ossimoro.
Hai un rito scaramantico prima di entrare in scena?
No, ma ne ho visti di strani. C’era un’attrice, di cui non faccio il nome, che fingeva di masturbarsi, però lo faceva come se fosse un uomo, forse lo era stata nella vita precedente.
Hai dei complessi?
Naa.
La cosa più folle che hai fatto nella vita?
Il bagno con i caimani in Pantanal, Brasile, oppure girare completamente nuda e senza scarpe nella foresta messicana, o passeggiare nella giungla di notte con una candela, c’erano i giaguari e le scimmie urlatrici, non potevi distinguere di chi fosse il ruggito. Sono anche entrata in uno dei peggiori bar di Caracas per bere una guarapita, mi sono salvata ballando, so farlo molto bene.
La dichiarazione d’amore (o lettera) più stramba e divertente che hai ricevuto?
Abbaiata, il mio amore sosteneva dessi troppe attenzioni al cane e per averne anche lui iniziò a latrare. Uno spasso.
Un tuo sogno nel cassetto?
Buttare tutti i cassetti e liberare i sogni.
A chi vorresti dire grazie?
Grazie è una parola da usare come una mantra, è prodigiosa. Va detta continuamente, a chiunque, alla vita, al cosmo, agli animali, alla natura, agli uccelli, alle madri, alla madre terra, alle opere d’arte, ai filosofi, e in primis all’amore.
Parliamo un po’ di Roma. In quale zona di Roma hai passato la tua gioventù e come la ricordi?
La Roma di Nicolini. Una manciata di anni d’oro, pieni di fermenti culturali e di musica. Grandi eventi, concerti e spettacoli. A Roma venivano divinità internazionali. Non dimenticherò mai Ella Fitzgerald al Circo Massimo. L’urbe era così energica e divertente da farmi partire in tournée con le valige già piene di nostalgia.
Quali sono state le tue abitazioni romane (in che zona hai abitato)
Montemario; Via Trionfale, di fronte a Villa Miani; al residence Villa tre Colli all’inizio della Cortina d’Ampezzo; e attualmente Pineta Sacchetti, nei pressi della Biblioteca del Parco. Gli alberi sono un comune denominatore.
Attualmente com’è il tuo rapporto con Roma?
Vivo molto in casa, scrivere è una disciplina costante e poi la città si è imbarbarita, via la cultura, la mediocrità ha preso il sopravvento sulla bellezza.
Il tuo rapporto con la cucina romana? Cosa ti piace e viceversa? Trattoria preferita?
Sono vegetariana, quasi vegana, cucino in maniera meravigliosa e a Roma ci sono solo due ristoranti vegetariani, ergo sono autarchica.
Cosa ti manca di Roma quando sei via per lavoro?
I miei amici. Le piante del terrazzo, i passeri e i merli ospiti del mio ristorantino di semi sempre aperto. Poi l’arte della città, il Barocco, Roma antica.
Roma, con tutte le sue contraddizioni, può essere fonte di ispirazione per i tuoi spettacoli?
Come no. C’è una romanità assai divertente e picaresca. Si pensi al Belli a Pascarella, a Trilussa, Flaiano, Gadda e soprattutto a Petrolini. Quei prodigi non sono morti, vagano ancora sotto il nostro cielo. “Da cristiano! Si mmoro e ppo’ arinasco. Pregh’Iddio d’arinassce a Rroma mia.” (Belli)
Cosa ti dà più fastidio di Roma (esiste una Roma da buttare?)
La corruzione, il commercio selvaggio, le catene di ristorazione, i troppi negozi, uccidono il fascino della città.
Nei momenti liberi in quale zona di Roma ami rifugiarti?
Davanti casa ho il bellissimo parco protetto del Pineto, prendo S’Agapò il cane, e insieme ci inoltriamo nel sughereto tra volpi e uccelli. La sera ogni tanto porgo un salutino a Giordano Bruno e mi fermo nella piazza adiacente per bere un drink con gli amici.
Reietti
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