Intervista su Animamediatica
Reietti, il tuo ultimo libro, comprende una raccolta di diciassette racconti dal taglio dissacrante e devo dire molto originale. L’ironia è l’ingrediente immancabile nella tua scrittura…
Mi aiuta a sopportare le ingiustizie, rende pariglia alle brutture dell’esistenza. Se non sdrammatizzo soffoco. Non bisogna poi tralasciare il potere catartico del ridere. Secondo l’antropologa e teologa Maria Caterina Jacobelli autrice del “Risus paschalis”, la risata come l’orgasmo è un trailer del Paradiso terrestre. Propongo la crasi: risata copulatoria.
Come autrice ami il paradosso. Donne robot si fanno impiantare pezzi di carne umana, mentre le umane si riempiono di protesi in plastica; l’uomo pecora distrugge i suoi organi per evitare di vederli trapiantati in un umano facoltoso; un gruppo di suore cerca l’estasi proferendo oscenità …
La stessa vita è paradossale, ed è il suo fascino. Un giorno un furgoncino pieno di suore, guidato dalla più giovane del gruppo, per poco non m’investe sulle strisce pedonali. Le religiose inveivano contro di me con gesti mascolini da scaricatori di porto. Avendo il “santo veicolo” i finestrini chiusi non potevo udire cosa sbraitassero, la mia fantasia però non ha avuto dubbi: bestemmiavano. Dall’episodio è nato il racconto “Gratia plenae”. Basta guardarsi intorno.
Chi sono i reietti?
Si tratta di donne, uomini, animali, ibridi, robot, personaggi fuori dal “sistema”. Il mainstream li considera mostri. Valutando l’etimologia latina del termine monstrum: prodigio, l’appellativo calza a pennello. I protagonisti dei racconti sono prodigiosi. Compiono azioni eccezionali, lottando con leggerezza e umorismo contro gli organismi di potere, l’avidità, la ferocia umane. Il loro portento è di mettere in evidenza il lato folle, psicopatico, degli esseri umani. Mostri in quanto mostrano i veri mostri, mi si passi il gioco di parole.
Dunque reietto a chi?
In realtà alla massa costituita da individui giudicanti e conformisti, reietta perché allontanata dal pensiero indipendente, dall’amore per la natura, per gli animali; emarginata dalla bellezza della disuguaglianza, dalla profondità delle emozioni e peggio dalla fantasia. La ‘reiettitudine’ divora l’individuo dall’interno ed è ahimè contagiosa.
Il cancro Vercingetorige di “T’humor” non ha “vita” facile con la sua vittima umana; il quasi cadavere parlante in “Zombi” dipinge un quadro grottesco con le contraddizioni dei nemici dell’eutanasia; “I telegiornali non lo spifferano, però i kamikaze se la fanno addosso” dice il protagonista del racconto “Martire”. Non hai mai paura di affrontare temi così scottanti?
Un romanziere pavido non può inventare eroi, tantomeno personaggi o storie interessanti. Ci si deve affrancare dal puro narcisismo intellettuale, bisogna diventare temerari, solo così escono pagine autentiche. Il politicamente corretto, la cultura esibita, sforneranno magari un testo piacevole, non un libro che possa cambiarti la vita o aprirti a nuovi mondi. Chi ha visto l’inferno può riprodurlo e farti perdere ogni sicurezza, ma lì sta il bello, è lì che il lettore si anima e viaggia, trova se stesso e cresce. Questo deve fare lo scrittore.
Viva l’audacia letteraria.
Sempre. Mai avuto paura di nulla, a parte dei fantasmi da bimba. Sai quella gente inconsistente, conciata peggio dei fantocci nei tunnel dell’orrore?
Pensi mai alle reazioni dei tuoi lettori?
A volte ci pensano gli editori. (Ride)
Alcuni tuoi racconti sono spietati: in “Bastardi” un pittoresco gruppo di invalidi combatte ferocemente il bullismo; in “Ricambi” le bambole vive da femminicidio vengono fatte a pezzi da maschi umani … Qual è la tua fonte di ispirazione?
La vita, la cronaca, persone conosciute e non, il sociale, i monstrum, “Er libbero pensiero”…
Elias Canetti diceva: “I veri scrittori incontrano i loro personaggi solo dopo che li hanno creati.” Io credo che loro esistano già, sono un coacervo si sensazioni, di storie passate, presenti e future, “Quali colombe dal disio chiamate… vegnon per l’aere, dal voler portate;”. (ride)
Nel giudizio su Reietti dato dal grande Bruno Bozzetto “Originalissimo. Fuori di testa. Cattivissimo. Spiritoso. Ripugnante. Affascinante.” mi ha colpito l’aggettivo ripugnante…
Avere questo suo parere così positivo è stato per me un grande regalo. Bruno Bozzetto è un genio, lo ammiro da sempre. Forse giocando sul lato comico della ferocia umana in alcuni racconti gli ho dato giù un po’ pesante. (ride)
Cosa significa scrivere per te?
La scrittura è un idioma ibrido: c’è il linguaggio, la parola scritta e c’è il silenzio, la meditazione. È nel silenzio che avviene il meglio, il silenzio evoca, ci racconta, ci svela mondi nascosti. Lo scrittore, come sostenevano i grandi poeti decadenti è un veggente.
Alcune storie dove usi la legge del contrappasso mi hanno fatto pensare a Tarantino…
Il titolo di uno dei racconti, “Nemesi” riassume il concetto. La Nemesi dà gioia e dolore, ma si accanisce specialmente sui più crudeli. “Nèmesi: Fate che soffra l’aguzzino, e sia felice il perseguitato”. Storie di compensazione.
Il tuo libro è pubblicato dalla Harpo. La prestigiosa casa editrice annovera nel suo catalogo nomi importanti della sinistra italiana, da Bice Foa Chiaromonte a Teresa Noce, per citare due donne. Rossella Monaco è comunista?
Non mi do etichette politiche né religiose. Però condivido il pensiero e l’agire del presidente uruguaiano José Mujica.
Nonostante la tua brillante carriera teatrale a un certo punto hai virato sulla scrittura…
In realtà la manovra non c’è stata, da sempre porto avanti le due arti. Ho scritto e messo in scena molte commedie. Alcune di queste sono state rappresentate anche da altre compagnie teatrali. Sono autrice dagli albori, da bambina mi sedevo davanti a un’Olivetti e buttavo giù aforismi, poesie e gialli. Certo la biblioteca di mia madre, colma di preziosi classici è stata un nutrimento essenziale, ancora mi vedo a dieci, undici anni, leggere Freud (dovevo risolvere alcuni problemi infantili) o Edgar Allan Poe. Carmen di Mérimée per esempio ha forgiato il mio modo di essere seduttiva.
Tu irridi lo Stato, la Chiesa, la massa mediocre, la sottocultura, la società commerciale e patriarcale, la “scienza spietata”. Dov’è la speranza?
È rientrata nel vaso di Pandora, dove deve stare. Il vaso, come il Sacro Graal, simboleggia la vagina, dunque il femminile, ecco questa è la mia speranza, un mondo di donne e uomini che tengano in giusta considerazione i valori femminili. Sesso felice e illuminato, amore per ogni forma di vita, uguaglianza, libertà, vegetarianesimo, sono alcuni miei “cavalli di pace”.
Il messaggio profondo di Reietti?
Contrastare la banalità del Nor-MALE, parafrasando Hannah Arendt.
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