ll matematico con il gallo.
La descrizione fisica di Renato Caccioppoli in Mistero napoletano mi ha evocato Chagall. Una leggerezza dove l’unico elemento ad avere peso è il cervello, ci dice Rea, un corpo esile e allungato, sospeso sui tetti napoletani. Sono entrambi di origine russa, (Renato è nipote dell’anarchico Bakunin) e tutti e due amano la musica. Caccioppoli cerca di carpirne i segreti con la matematica, Chagall con il colore e la forma poetica.
Ma torniamo al “matematico matto” soprannome di cui Renato era felicissimo, la follia è libertà dalle convenzioni, «… al di là dei confini del disordine, colui che ha occhi per vedere scopre frammenti di armonia, di perfezione. E ce li regala. Questo fa il genio». Occhi per vedere, non è facile come sembra. Abbiamo due orecchie e una sola bocca per parlare la metà di quanto ascoltiamo, sostiene Zenone. Ma gli occhi? In quanti modi possono vedere gli occhi? Nel disordine poi? È possibile mettere insieme schegge di caos e creare armonia? Gli artisti, i musicisti, i matematici, possono farlo. Non c’è bisogno di scomodare demiurghi rassettatori per riordinare l’ineffabile, basta un poeta. Renato mettendo insieme i suoi pezzi compose varie teorie, fece importantissime scoperte, si arrivò agli “insiemi di Caccioppoli”. A ventisei anni era titolare di Analisi algebrica e infinitesimale a Padova. Nel 1933 ebbe la cattedra a Napoli. La storia lo premiò come uno dei più grandi ingegni matematici del nostro tempo. Einstein in una lettera lo ringraziò per il contributo dato alla formulazione matematica della teoria della relatività ristretta. Ordine e caos. Musica e insonnia, poesie e alcol. Spesso la notte girovagava per i quartieri spagnoli, nel buio dei «vicoli infinitesimali». Il magma alcolico colava dai bicchieri nello stomaco: troppe eruzioni, la depressione galoppò a pieno ritmo, ma l’ironia, il sarcasmo di cui era dotato gli opponevano una cortina tenace.
Luciano de Crescenzo allievo del grande matematico, mi ha parlato di lui una sera mentre volteggiavamo a tempo di valzer in un ristorante di periferia, ma questo mi è tornato alla mente solo dopo aver scavato assai. Il filosofo ingegnere era un amante del liscio: «Zuccheriè”, così mi appellava in confidenza amicale, «Sai perché stiamo piroettando a questa velocità?», a dispetto dell’età, il Socrate napoletano andava come un razzo, «Pecché tutto intorno a noi perde i contorni e si fa caos?» «Perché ci gira la testa e abbiamo anche bevuto quel vinello bianco, Lucià». «No zuccheriè, pecché è dal caos che nasce l’ordine e i nostri visi fissi uno sull’altro questo sono: ordine» Ecco. Ero troppo giovane per capire a fondo, ma a fondo comprendevo, la subcoscienza raccoglieva e l’ordine si faceva strada. Caccioppoli da ateo non credeva in un disegno divino, doveva andare alla radice del progetto cosmico, la matematica e la musica erano gli strumenti necessari per capire. L’amore però, si dimostrò più complicato delle teorie algebriche e dei numeri, lì si perse. Sara Mancuso, donna anticonvenzionale e coraggiosa lo amò e lo sposò, fu infedele e lo lasciò. È stato il suo grande amore, il suo ideale di femmina. «Una donna infedele dà respiro all’uomo libero, stuzzica la mente del genio, l’uomo sicuro di sé l’adora. Ma chistu i napulitane nun l’hanno ‘a capì» diceva De Crescenzo. Renato non supererà mai il trauma dell’abbandono, lei gli rimase per sempre nel sangue.
Sara e Renato fecero molte cose insieme, la più leggendaria e manomessa è la famosa cantata della Marsigliese. Ai primi di maggio del 1938 Hitler stava per arrivare a Napoli e loro volevano contrapporre un gesto forte, un’azione simbolica all’abominio imminente. Una sera il caso volle si ritrovassero alla birreria Löwenbrau dove alcuni sgherri fascisti, esaltati dalla piega politica, facevano vilmente i gradassi. Quando obbligarono il pianista a suonare una canzone fascista Renato non ci pensò due volte e andò al pianoforte, Sara lo seguì. Preso il posto del pianista suonò la Marsigliese mentre Sara cantava il pezzo a pieni polmoni. Finito il bel canto Caccioppoli, spiegò alle camicie nere rimaste nel frattempo a bocca aperta, il valore del testo della canzone: la libertà. Un concetto annientato dal nazismo e dal fascismo. Gli sgherri spaventati da tale pericolo, essere liberi comporta anche pensare, li presero e li portarono in questura. La napoletanità, figlia della Magna Grecia, ha un pregio, prendere le cose con leggerezza. Sara fu rilasciata e Renato, grazie all’intervento della zia, Sofia Bakunin, ottenne di essere scarcerato e internato alla clinica Colucci, casa di cura per pazzi veri o quasi. Era il 29 ottobre del 1938 quando fu promosso a matematico matto.
«Ingegno supernormale» scrissero i medici normodotati. «Eccentrico, melanconico, contraddittorio». E poi c’è il gallo, l’episodio fu citato persino sulla cartella clinica. Il matematico tempo addietro si era trovato un pet adeguato ai tempi e aveva preso l’abitudine di passeggiare per le vie di Napoli con il suo gallo al guinzaglio. Mussolini aveva promulgato una legge che impediva agli uomini di tenere cani di piccola taglia per non offendere l’italica virilità. L’ironica beffa fu tradotta in pazzia intanto che ‘o pazzo vero s’affacciava al balcone.
Bice Foà Chiaromonte nel capitolo dedicato a Renato Caccioppoli ci regala altri frammenti del genio. «Era un musicista eccezionale», ci dice, «quando fu eseguita per la prima volta a Napoli la sinfonia classica di Prokoviev che lui non aveva mai sentita, poi la eseguì quasi perfettamente sul suo pianoforte» Su quello stesso piano, continua Bice, ci teneva una rivoltella con la quale, diceva, prima o poi si sarebbe sparato. Così fu.
Amo un episodio in particolare citato dalla Chiaromonte: «Un giorno durante una lezione, a uno studente che non riusciva a concludere l’esercizio che gli aveva proposto, continuava a dire “scrivi, scrivi”, “professore, è finita la lavagna”, “continua sul muro”, “sono arrivato alla porta”, “appunto, vattenne” ».
Renato Caccioppoli se ne andò nel 1959 sparandosi alla nuca.
«Zuccheriè ca vuo’ fa, Caccioppoli era troppo curiuso per attennere pazientemente ‘a morte».
Il matematico con il gallo
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