Parthenope.
Il pubblico da sempre diviso in due fazioni, si lancia in dissertazioni pro e contro l’ultimo film Paolo Sorrentino, Parthenope. Chi interpreta l’opera come paracula e scopiazzata da altrui capolavori cinematografici, chi al contrario ne apprezza le colte citazioni (una su tutte, un cameo da “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini). Chi scorge negli occhi della protagonista, Celeste Dalla Porta, la magica luce di Napoli o anche della Gioconda, chi pensa sia: «Una ragazza come ce ne stanno tante.» Chi giudica il film un prodotto freddo e radical chic, chi emozionante per le sue magnifiche immagini. Ecco alcune frasi significative spulciate qua e là: «Il film non è altro che una serie di compiaciuti selfie della protagonista», «Perché poi prendersela sempre con la chiesa piazzando un vescovo luciferino che si sta tingendo i capelli di nero nella navata centrale del duomo di Napoli?», «Ma questi fumano anche quando scopano?», «La scena del miracolo di san Gennaro è blasfema.»
Eccoci giunti a un interessante punto nodale del film, dove Sorrentino evoca in maniera straordinaria la sempiterna battaglia della chiesa contro le donne (Arrostire streghe, “patriarcalizzare” icone femminili, annichilire il potere riproduttivo delle donne dandolo a un uomo, divino, ma sempre uomo). La scena: Duomo di Napoli. Davanti a un nutrito gruppo di fedeli, il vescovo Tesorone, straordinario Peppe Lanzetta, si spreme l’anima per produrre il miracolo di san Gennaro: far sciogliere il sangue del santo condensato dentro un’ampolla trasparente. Improvvisamente tra la folla una donna urla: «San Gennà, hai fatto ‘o miracolo!» poi mostra ai fedeli le cosce bagnate di sangue mestruale. Chiesa contro Sacro femminino. Sangue di San Gennaro, contro sangue mestruale. Potere patriarcale contro il magico potere riproduttivo della donna. L’urlo ferino del prete chiude la scena: «Portate subito fuori quella troia!»
𝘘.𝘦.𝘥.
Come volevasi dimostrare.
Non è finita.
Arriviamo alla scena clou.
Parthenope, in “veste” di antropologa del succitato miracolo, indossa il mantello e la mitra papale. Quando li toglie il suo splendido corpo è ricoperto dai gioielli di san Gennaro. Si può parlare di profanazione? Direi piuttosto il contrario, il corpo femminile, un luogo sacro di preghiera, riscatta i gioielli dalle fredde teche e li rende liturgici. Lui, il vescovo, si inginocchia dinanzi alla papessa Parthenope. Prega di fronte alla Dea emersa dall’acqua. Ma fa di più, la omaggia serpeggiando con il dito inanellato nella sua sacra vagina.
La papessa gode.
Tesorone dice che questo è il modo per avvicinarsi a Dio.
A proposito di blasfemia, Peppe Lanzetta, ha rilanciato, alle numerose critiche per aver interpretato lo scandaloso ruolo, i suoi trascorsi di bimbo violentato da un prete pedofilo. «…E di questo non ne avevo mai parlato ad alcuno. Nemmeno Sorrentino lo sapeva.» dice l’attore.
Ç𝘢 𝘷𝘢 𝘴𝘢𝘯𝘴 𝘥𝘪𝘳𝘦.
Tra le preziose citazioni del film, ho ritrovato la luna di Georges Méliès, genio, nonché padre magico del cinema.
Il professor Marotta, un fantastico Silvio Orlando, mostra a Parthenope il suo misterioso e occultato figlio.
Attenzione allo spoiler…
Quando apre la porta della stanza del giovane, le appare una strana, immensa creatura. Un “boteriano” ragazzo completamente assorbito da un televisore posto davanti a lui. Si alimenta con immagini e parole provenienti dalla scatola parlante. Un corpo obeso da inutili informazioni. La bulimia mediatica ci seppellirà… ed ecco la magia. Il viso della creatura è quello della luna nel capolavoro di Méliès, “Le voyage dans la lune”. «È bellissimo.» dice Parthenope fissandolo ammaliata.
Il mare, tra i protagonisti del film, fa galleggiare la mente. Ipnotizza ed evoca ancestrali ricordi…
“Io non so niente ma mi piace tutto.”
Lascia un commento